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Blusterol-ASI

 

 

confezione da 0,2-0,55 lt

 

Il complesso Avocado-Soia-Insaponificabili noto in inglese con l'acronimo di ASU = Avocado Soy Unsaponifiables ha dimostrato una notevole azione sulle articolazioni rallentando la degenerazione della cartilagine e migliorando la qualità di vita dei pazienti.

Le dosi utilizzate negli studi variavano da 300 a 600 mg di ASI/die.

 

Blusterol-ASI rappresenta un'ottima fonte di insaponificabili di soia ed avocado (ben 600 mg/10 ml ), è stato inoltre potenziato dall'azione anti-età del complesso acido Lipoico, Vitamine A, D, E, Betacarotene, Quercitina, acidi grassi Omega 3 e 6.

 

 

Vedi Esempi d'uso

 

Blusterol-ASI è un integratore alimentare; notificato al Ministero della Salute.

 

 

 

 

 

Revital.5

36 bustine

  • Articolazioni, Fegato, Sistema Nervoso, Intestino (tipicamente si associa a Blusterol-Lipoic  o - ASI)

  • Integrazione completa di Glucosamina, MSM, Fermenti, Fos, Vitamine, Oligoelementi

Vedi  Esempi d'uso

 

 

Revital.5 è un integratore alimentare; notificato al Ministero della Salute

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Articolazioni

Chi sta visitando questo  sito pensa di averle provate tutte per ridurre il dolore e gli effetti collaterali dei farmaci antinfiammatori.

Molti di voi avranno già avuto approcci classici: antinfiammatori, interventi chirurgici, o alternativi: manipolazioni, agopuntura, ozonoterapia, radiofrequenza, laser etc..

In realtà l'approccio dovrebbe essere multidisciplinare.

Ma vediamo un po' cosa possiamo dirvi di nuovo e di utile perché questa impresa riesca.

    Azioni d'attacco

 

- mettere in scarico l'arto: es. per la ernia discale sdraiarsi  di schiena sul rigido piegando le gambe; quindi mobilizzarlo senza carico.

- applicazioni di sale grosso riscaldato in forno (rilassa la muscolatura e asciuga l'eccesso di liquido);

- uso di antinfiammatori naturali:

ASI (o ASU=insaponificabile di soia avocado) MSM, GLUCOSAMINA,  : molto ben tollerati anche a livello gastrico.

- basificare: con l'infiammazione il sangue diviene più acido, e c'è una maggiore difficoltà ad espellere le tossine. Per l'urgenza si può assumere un cucchiaino di bicarbonato di Sodio 30-60' dopo il pasto (X2).  Successivamente il pH delle urine andrà controllato  e deve essere sul 7.

- Se si è soggetti a gonfiori intestinali (colite) è obbligo normalizzare l'intestino: altrimenti il carico di tossine peggiora l'infiammazione: vedi "alterazione della permeabilità intestinale".


     Stile di Vita

una volta superata la fase "critica", è fondamentale aumentare il metabolismo dell'articolazione "debole" in modo da favorire la "riparazione" della cartillagine da parte del complesso ASI e la "fissazione" degli elementi "attivi" (MSM, Glucosamina, Condroitina)

Tipiche attività consigliate per l'anca e le ginocchia: bicicletta, cyclette, nordicwalking.

 In generale comunque combattere la sedentarietà (camminare, bicicletta, nuoto), non ingrassare, non fumare, prendere 1 ora di sole al giorno.

Avere cura dei denti (molte infiammazioni articolari sono causate da granulomi etc.)

    Alimentazione

Mangiare spesso verdure, patate lesse, cereali e semi integrali (Sesamo, Segale), frutta, acqua ricca di Magnesio, Calcio e Bicarbonati; Legumi e Pesce.  RIDURRE fortemente agrumi e carne rossa e salumi; gli zuccheri semplici, alcool, bibite gassate, succhi di frutta acidi.

    Integrazione

E' bene ricordare che il tessuto osseo e articolare beneficia di una dieta ricca di elementi Anti-Ossidanti: E' stato chiaramente dimostrato che il danno che la cartilagine subisce da un carico  eccessivo viene fortemente ridotto dagli antiossidanti: Vitamina C, Vitamina E, Betacarotene, Omega 3, acido Lipoico, Selenio, Zinco, acetil-Cisteina. Inoltre per la sua particolare composizione necessita del Calcio che però è bene assumerlo con gli alimenti (latticini, formaggi freschi poco grassi, sesamo, acqua minerale) inoltre per ridurre il rischio di un accumulo (calcificazioni) è opportuno assumere del Magnesio. Microelementi come Silicio, Manganese e il Boro sono indispensabili . (Anche il Rame può essere utile, ma attualmente se ne riscontra spesso un eccesso) I GAG o Glucosamminoglicani: glucosamina, condroitina, acido jaluronico agiscono sul connettivo e sulla cartillagine. 

Dalla letteratura medica risulta che gli antinfiammatori naturali più efficaci per i dolori osteo-articolari sono:

  • ASI   (ASU) = estratti insaponificabili di Soia e Avocado. (efficaci a soli 300 mg)

  • MSM  (dose efficace :300-1500** mg)

  • Glucosamina-solfato: (dose efficace:300-1500** mg)

**Note: La Glucosamina e il MSM vengono eliminati  lentamente dall'organismo pertanto c'è un effetto accumulo: significa che lo stesso risultato lo si può ottenere ad un dosaggio inferiore ma dopo un tempo maggiore.

Il Revital.5  apporta 300+300 mg di Glucosamina e MSM + antissidanti

Artro-C  1/2  misurino: apporta 750 + 750 mg di Glucosamina solfato e MSM + Condroitina e antiossidanti.

 

    Integrazione pratica

Una buona base di integrazione (ad un favorevole rapporto costo beneficio) è costituita da: Blusterol-ASI (1-2 cucchiaini/die) abbinabile a scelta con  Revital.5 (1-2 buste al giorno) ; Artro-C 1/2 -1 misurino/ die.

ProBasica (integratore di  minerali basificanti) quanto basta a portare il Ph delle urine a 7 (misurabile con una cartina tornasole)  Generalmente il fabbisogno aumenta dopo pasti ricchi di zuccheri.

Quello che noi possiamo offrirVi  sono degli ottimi prodotti sempre accompagnati da uno schema di trattamento globale personalizzato e dalla nostra pluriannuale esperienza condotta a fianco di medici e specialisti in terapie naturali.

Vedi  Esempi d'uso

Deve essere pertanto chiaro che le cause che portano l'infiammazione e la degenerazione devono essere indagate in modo da intraprendere un percorso che riduca la degenerazione e il dolore.

Autore:  Staff Livi

  Approfondimenti estratti

dalla rete web

 

Glucosamina, condroitin
solfato ed entrambi in combinazione per la gonartrosi dolorosa
(artrosi del ginocchio)

 

EVIDENZA SINTETICA : ....."agiscono con “effetti favorevoli sui processi degenerativi delle cartilagini” supplendo alla carenza endogena di glucosamina ed in definitiva svolgendo una “azione trofica” sulle cartilagini stesse, non è di per sé analgesica".....


Titolo: "Glucosamine, chondroitin sulfate, and the 2 in combination for painful knee osteoarthritis."
Autori: Clegg A, Reda D, Harris C, Klein M, O'Dell J, Hooper M, Bradley J, Bingham C, Weisman M.,
Jackson C., Lane N., Cush J., Moreland L., Schumacher H, Oddis C, Wolfe F, Molitor J, Yocum D,
Schnitzer T, Furst D., Sawitzke A, Shi H, Brandt K, Moskowitz R, Williams H
Rivista: N. Engl J Med 2006; 354:795-808, Feb 23, 2006
Selezione e Commento a cura di: Giuliano Piccoliori, Area Dolore SIMG
Indirizzo dell'articolo: http://content.nejm.org/cgi/content/short/354/8/795

Fonte: http://www.progettoasco.it/pdf/204.pdf

 

Sintesi
Premessa: La glucosamina ed il condroitin solfato vengono impiegati per il trattamento
dell’artrosi. Lo studio d’intervento multicentrico, in doppio cieco controllato con placebo e
celecoxib GAIT ha valutato la loro efficacia e sicurezza nel trattamento del dolore da
gonartrosi. Metodi: 1583 pazienti con gonartrosi sintomatica sono stati assegnati con
procedura ramdomizzata ad uno dei seguenti trattamenti: 1500 mg di glucosamina/die, 1200
mg di condroitin solfato/die, entrambi in combinazione, 200 mg di celecoxib o placebo. Era
concessa una dose massima giornaliera di analgesia di riserva con paracetamolo di 4000 mg.
L’outcome primario era una diminuzione del dolore entro 24 settimane del 20% rispetto
all’inizio. Risultati: Complessivamente la glucosamina ed il condroitin solfato non sono risultati
significativamente migliori rispetto al placebo nel ridurre il dolore al ginocchio del 20%.
Rispetto alla risposta al placebo (60,1%) la risposta alla glucosamina è stata di 3,9 punti
percentuale superiore, la risposta al condroitin solfato di 5,3 punti e al trattamento combinato
di 6,5 punti superiore. La risposta del gruppo di controllo con celecoxib è stata invece
significativa (p=0,008) con 10 punti in più rispetto al placebo. Nei pazienti con dolore
moderato-severo la risposta alla terapia combinata è stata significativamente più elevata
rispetto al placebo (79,2% vs 54,3%, p=0,002). Gli effetti avversi sono stati lievi, poco
frequenti e distribuiti uniformemente fra i gruppi.
Conclusioni: La glucosamina ed il condroitin solfato da soli od in combinazione non riducono
complessivamente nei pazienti con gonartrosi il dolore in maniera efficace. Analisi esplorative
suggeriscono che la combinazione di glucosamina e condroitin solfato possono essere efficaci
nel sottogruppo di pazienti con dolore da gonartrosi moderato-severo.
Premessa
L’osteoartrosi è la più comune tra le artriti e colpisce 20 millioni di americani, un numero
destinato a raddoppiare nei prossimo due decenni. Attualmente le terapie disponibili mirano a
ridurre il dolore articolare attraverso analgesici e FANS con risultati subottimali e problemi di
sicurezza anche alla luce dell’aumentato rischio cardiovascolare riferito dagli ultimi studi. Una
meta-analisi degli studi fin qui svolti sull’efficacia e sicurezza di glucosamina e condroitin
solfato suggerisce un potenziale effetto benefico ma solleva dubbi sulla qualità scientifica degli
studi stessi. Abbiamo condotto uno studio multicentrico, in doppio cieco, randomizzato e
controllato con placebo e celecoxib sponsorizzato dal National Institurs of Health per valutare
rigorosamente l’efficacia e sicurezza di glucosamina e di condroitin solfato da soli ed in
combinazione nel trattamento del dolore da gonartrosi.
Metodi
I pazienti eleggibili avevano almeno 40 anni ed evidenza clinica e radiografica di gonartrosi.
Essi sono stati assegnati con procedura random ad uno dei seguenti regimi terapeutici: 500 mg
di glucosamina 3 volte al giorno, 400 mg di condroitin solfato 3 volte al giorno, 500 mg di
glucosamina più 400 mg di condroitin solfato 3 volte al dì, 200 mg di celecoxib al giorno, o
placebo. I pazienti potevano assumere fino a 4000 mg di paracetamolo al giorno eccetto
durante le 24 ore precedenti la valutazione clinica del dolore articolare. Altri analgetici inclusi i
narcotici ed i FANS non erano concessi. I pazienti venivano valutati all’inizio e a 4, 8, 16 e 24
settimane dalla randomizzazione. L’outcome primario era la risposta al trattamento definita a
priori da un consenso di esperti come la diminuzione del 20% nel punteggio totale nella
sottoscala del dolore del Western Ontario and McMaster Universities Osteoarthritis Index
(WOMAC) rilevato all’inizio e alla fine della 24 settimana.
Risultati
Il 64,1% dei pazienti erano donne con una età media di 58,6 anni ed un BMI medio di 31,7. Vi
è stata una percentuale di rifiuto alla partecipazione uniforme tra i gruppi del 20,5% ed una
adesione al trattamento assegnato tra l’88% ed il 97%.
Complessivamente, come risulta dalla tabella sulla probabilità complessiva di risposta qui
riportata, le differenze tra il placebo ed i vari regimi e agenti terapeutici sono piuttosto lievi e
statisticamente non significative per quel che riguarda l’outcome primario ma in massima parte
anche per gli outcome secondari. Il 60,1% del gruppo placebo ha raggiunto l’outcome
primario, il 64% di chi aveva assunto glucosamina, il 65,4% di chi aveva assunto condroitin
solfato, il 66,6% del gruppo glucosamina più condroitin solfato, ed il 70,1% del gruppo
celecoxib, che ha raggiunto la significatività statistica (p=0,008). Anche per quel che riguarda
gli outcome secondari, che tra gli altri comprendevano la riduzione media del dolore, non sono
state rilevate differenze assolute importanti e statisticamente significative. L’analisi
dell’outcome primario nel gruppo con dolore moderato-severo ha dimostrato che la terapia
combinata glucosamina-condroitin solfato era significativamente più efficace del placebo con il
24,9 punti percentuali in più (54,3% vs 79,2% - p=0,002). In questo gruppo di pazienti il
celecoxib (69,4%), la glucosamina (65,7%) ed il condroitin solfato (61,4%) non sono risultati
significativamente migliori rispetto al placebo (54,3%). La velocità di risposta è stata maggiore
nel gruppo celecoxib che a 4 settimane aveva raggiunto un miglioramento già sostanziale. Gli
effetti avversi sono stati di lieve intensità e distribuiti uniformemente fra i 5 regimi terapeutici.
Discussione
L’analisi dell’outcome primario non ha dimostrato complessivamente l’efficacia della
glucosamina e del condroitin solfato, da soli od in combinazione. L’analisi del sottogruppo di
pazienti con dolore moderato-severo sembra indicare che la combinazione di glucosamina e
condroitin solfato riduca significativamente il dolore da gonartrosi. Il numero relativamente
piccolo di pazienti di questo sottogruppo indebolisce la potenza dello studio e potrebbe aver
sottostimato l’efficacia degli altri regimi terapeutici. Il nostro studio presenta inoltre alcuni
limiti: primo fra tutti l’elevata risposta nel gruppo placebo; quindi l’intensità relativamente
bassa del dolore nei pazienti reclutati. Il nostro risultato va quindi confermato da altri trial.
Rilevanza per la Medicina Generale
Come sappiamo da diversi studi, compreso il recente IPSE di SIMG, l’artrosi rappresenta la
prima causa di dolore cronico moderato severo nel setting della Medicina Generale. La
glucosamina (Dona) e il condroitin solfato (Reumil, Reumilase Plus) intervenendo sul
meccanismo patofisiologico e a fronte di una buona tollerabilità a lungo termine, potrebbero
rappresentare un opzione terapeutica importante.
Conclusioni del revisore
Gli studi fin qui condotti sembravano dimostrare l’efficacia della glucosamina nel ridurre dolore
e rigidità articolare nell’osteoartrosi. Va evidenziato però che tali studi sono disomogenei e non
univocamente positivi. Molti presentano inoltre problemi metodologici oltre al fatto che quasi
tutti sono stati sponsorizzati dal produttore della specialità di base. L’efficacia dell’associazione
tra glucosamina e condroitin solfato era stata valutata in due studi randomizzati e controllati su
di un totale di 127 pazienti che avevano dimostrato un’efficacia superiore al placebo ma solo
nei pazienti con malattia da lieve a moderata. In base ai risultati di quest’ultimo studio GAIT
l’efficacia analgesica di questi agenti terapeutici appare molto ridimensionata. In effetti il
meccanismo d’azione di questi farmaci, che agiscono con “effetti favorevoli sui processi
degenerativi delle cartilagini” supplendo alla carenza endogena di glucosamina ed in definitiva
svolgendo una “azione trofica” sulle cartilagini stesse, non è di per sé analgesica. L’efficacia sul
dolore semmai dovrebbe essere verificata sul lungo periodo (anni), quindi non era logico
aspettarsi efficacia antalgica dopo sei mesi di terapia.

 

OSTEOPOROSI

Dott. Domenico Gullotta (Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia ) - Fonte: http://www.domenicogullotta.com/ARTICOLI/Osteoporosi/osteopor.htm

 

"Osteoporosi" è una parola che deriva dal greco ed è formata da due termini distinti: "osteon", che significa osso e "poros", che significa poro. Letteral­mente la parola significa osso poroso (bucato).

In effetti l'aspetto delle ossa nelle persone colpite da questa malattia si presenta poroso, proprio per la perdita di consistenza della massa ossea.
Con il termine osteoporosi infatti si descrive una condizione morbosa, ca­ratterizzata da una riduzione della massa os­sea, per unità di volume di matrice ossea, normal­mente mineralizzata.

Questo fa si che il tessuto osseo perda progressiva­mente la sua origina­ria compattezza e acquisisca un'anomala porosità che lo rende fragile.

Il deterioramento della mi­croarchitettura cui consegue un'aumentata fragilità ossea, lo espone, pertanto, ad un maggior ri­schio di fratture.

 

 

In questa malattia  non si rico­noscono alterazioni qualitative dei vari componenti dell'osso o anormalità nella sua composizione clinica e nella sua struttura.

Ricordiamo come l'osteoporosi sia una malattia ossea di dimen­sioni mondiali, destinata a cre­scere con l'aumentare della popolazione an­ziana, con conse­guenze socio-econo­miche tali da ri­chiedere una pre­cisa strategia d'in­tervento.

 

L'osteoporosi, perciò, è stata dichiarata dall'Or­ganiz­zazione mondiale della Sanità una "malat­tia so­ciale".  La sua diffusione è, infatti, altis­sima: in Ita­lia colpisce più di 5 milioni di per­sone, di cui il 30% sono donne in postmeno­pausa. In Europa, Stati Uniti e Giappone si contano ben 75 milioni di per­sone malate di osteoporosi e nei soli USA. la malat­tia provoca ogni anno circa un milione e mezzo di fratture ossee.

 Nell’individuo anziano, pertanto, insieme alla perdita progressiva sia di sali minerali sia di matrice ossea, si assiste ad una riduzione della massa ossea con il relativo deterioramento della microarchitettura già ricordato; pertanto la conseguenze più drammatiche e la causa dei gravi oneri socio-sanitari sono dunque le frat­ture ed in particolare quelle temibili del collo del fe­more; frat­ture che si pos­sono verificare a causa del­l'indebolimento dello scheletro. Que­sta com­pli­canza dell'osteoporosi è re­sponsabile della maggior quota dei costi relativi alla pa­tolo­gia.

 Rappresenta, inoltre, la più comune altera­zione sche­le­trica ed è seconda solo all'artrosi, come patologia dell'apparato muscolo-sche­letrico nel­l'età avanzata.

 

LA STRUTTURA DELLE OSSA

Il tessuto osseo è caratterizzato da una strut­tura ri­gida e allo stesso tempo molto leggera. La rigidità è importante per permettere alle ossa di sopportare il peso di carichi rilevanti, mentre la leggerezza è essenziale per con­sentire ai muscoli di poter muo­vere lo schele­tro. I principi su cui l’osso è co­struito sono tali da assicurare la massima resi­stenza, accom­pagnata alla massima economia di materiale ed al minimo peso. Infatti l’osso si avvi­cina molto alla ghisa per la resistenza alla tensione ma pesa meno di un terzo di essa. Le sue ca­ratteri­stiche di rigidità e leggerezza coesi­stono grazie alla presenza, all’interno delle ossa, di due tessuti differenti. Uno è detto "corticale" ed è compatto e resistente ai carichi; l'altro è detto "trabecolare" e presenta una struttura porosa per potersi adattare ai movimenti mu­scolari. L'80% della massa dello scheletro è composta da tessuto compatto che forma la superficie esterna di tutte le ossa; il re­stante 20% è formato da tessuto poroso rappre­sen­tato da un reticolo rigido mineralizzante.
Il tessuto osseo, nel suo insieme, è costituito da proteine (che formano l'impalcatura ossea), da sali di calcio (per dare rigidità e compat­tezza all'im­palcatura proteica) e da particolari cellule che prendono il nome di osteoblasti e osteoclasti. Que­ste lavorano insieme svilup­pando le ossa nel­l'in­fanzia e nell'adolescenza, e garantendo un conti­nuo rinnovamento nel­l'età adulta. Le ossa, infatti, non sono strutture statiche ma crescono, invec­chiano, muoiono e si rinnovano. L’osso è pertanto un materiale vivente e dinamico, che viene continuamente  rinnovato e ricostruito per tutta la durata della vita dell’individuo. Nello spe­ci­fico, sono due i gruppi di cellule svolgono le se­guenti fun­zioni:

 

Gli osteoclasti


Hanno il compito di rimuovere il tessuto os­seo, privandolo prima del calcio e poi fagoci­tandolo. Sono cellule abbastanza grandi e hanno un bordo esterno molto rugoso. La parte di tessuto che vanno a scavare viene selezionata in base alla pre­senza o meno di osteoblasti in superficie. La loro azione di­struttrice, però, è contrastata dagli estro­geni (ormoni femminili prodotti dalle ovaie) che ini­biscono il rilascio delle citochine (mediatori chimici che stimolano la formazione degli osteo­clasti).

Osteoblasti e osteoclasti provvedono, per­tanto, al continuo ricambio del tessuto osseo, sostituendo la parte vecchia con nuovo tes­suto. Questo mecca­ni­smo è molto importante per la salute dell'osso poichè permette di ri­mediare alle microfratture che quasi ogni giorno si producono nello schele­tro.
Quando, però, l'azione degli osteoclasti (cel­lule distruttrici) supera quella degli osteoblasti (cellule costruttrici) le ossa si indeboliscono, diventando letteralmente più "spugnose". Questo avviene an­che quando si hanno ca­renze di calcio.

 

CLASSIFICAZIONE

Le osteoporosi possono essere:

A) Osteoporosi primarie

Non presentano un preciso momento etiolo­gico e si distinguono in:

 

   a) involutive

- Tipo I post-menopausale

             correlate alla carenza di estrogeni che  

               si ha in menopausa   

- Tipo II senile

            correlate al processo di senescenza ed

              alla conseguente carente produzione

              di vitamina D

 

  b) idiopatiche

(Le due forme involutive sono le più diffuse).  

 

   Si tratta di un processo fisiologico dovuto ad un aumento assoluto o relativo dei meccani­smi di deco­struzione rispetto a quelli di neo­deposi­zione ossea. E' un processo che si svolge con modalità temporali differenti nel maschio o nella femmina, nel senso che men­tre nel maschio la perdita è lenta e lineare nel tempo, nella donna esiste un'accelera­zione note­vole in corrispon­denza dell'inizio della menopausa.

-        Le forme idiopatiche sono, nella stra­grande maggioranza dei casi, "giovanili" e si riscon­trano in due fasce di età, quella prepuberale e quella del giovane adulto. La forma prepu­be­rale è abbastanza rara, e può essere le­gata a un fattore genetico oppure acquisito durante l'infanzia.

B) Osteoporosi secondarie

Possono essere:

- Endocrine

- Da errori nutritivi

- Ematologiche

- Iatrogene

- Da immobilizzazione

- Congenite

- Varie

Abbastanza frequenti, fra queste forme se­conda­rie, sono alcune endocri­nopatie come l'ipercorti­cosurre­nalismo, l'i­pertiroidismo, l'iperparatiroidi­smo, l'i­pogo­nadismo, l'iper­prolatti­nemia, l'acro­megalia ed il diabete mellito in­sulino-dipen­dente. La forma più importante è quella prodotta dai glicocorti­coidi, che compare sia in corso della sin­drome di Cushing che come conse­guenza di un uso prolungato di corticoste­roidi. Altra causa di osteoporosi è quella do­vuta a er­rori nutritivi come lo scorbuto, il deficit pro­teico, l'ipervitaminosi A o D, l'al­coolismo e l'a­noressia nervosa. Nelle cause ematologi­che che pos­sono provocare questa patologia ritroviamo il mie­loma, i linfomi e le leuce­mie,  la mastocitosi e le talassemie. Nelle cause iatrogene di osteo­porosi so­gliamo an­noverare l'abuso di quei far­maci che pos­sono indurre osteopenia. Altra im­por­tante causa di osteo­porosi secondarie è quella do­vuta ad immo­biliz­zazione che può es­sere ge­neraliz­zata (riposo a letto, paraple­gia, volo spa­ziale) o localizzata (post-frat­tura). Ve­diamo che la massa ossea muta in risposta alle sol­lecita­zioni meccaniche. A se­guito di un'im­mobiliz­za­zione, la massa ossea diminui­sce marcata­mente e rapidamente, con decre­mento pro­por­zionale sia della ma­trice ossea che della com­ponente mine­rale.

Le forme congenite di osteoporosi secondarie sono dovute a: osteogenesi imperfetta, omo­ci­stinuria, li­sinuria e malattie congenite del con­nettivo (Marfan, Ehlers-Danlos).

Per concludere: è stato riscontrato che, osteo­porosi secondarie si possono manifestare an­che in corso di malattie croniche come le epato­pa­tie, le nefropatie e il diabete mellito.

 

FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio, che contribuiscono all'in­stau­rarsi e all'aggravarsi dell'osteoporosi in­volutiva, sono mol­teplici e possono essere così riassunti:

 

L'ereditarietà
I medici considerano ormai come fatto asso­dato la possibile ereditarietà dell'osteoporosi. È più fa­cile, infatti, che la malattia si instauri in chi ha genitori con lo stesso problema. In questi casi è perciò molto importante attuare serie forme di preven­zione.

La menopausa
Nel periodo della postmenopausa, la perdita della massa ossea avviene in maniera molto più rapida rispetto all'età in cui la donna è an­cora fertile. La produzione di estrogeni è, in­fatti, più bassa e que­sto impoverisce rapida­mente il tessuto osseo. In questo periodo della vita è utile, pertanto, sotto­porsi ad una terapia ormonale sostitutiva.

Una menopausa chirurgica (aspor­tazione di entrambe le ovaie) deter­mina una immediata riduzione degli estrogeni e quindi una rarefazione ossea più ve­loce. Una menopausa precoce (prima dei quarantacinque anni) può determinare una riduzione della massa ossea con qualche anno di anticipo rispetto a quanto av­viene normalmente.

Poco calcio nella dieta
La carenza nutrizionale di calcio viene ricono­sciuta come fondamentale fattore di rischio nella perdita di massa ossea e, quindi, nell'in­sorgenza dell'osteoporosi. Il calcio, infatti, è il minerale più presente nel nostro organismo e la maggior parte di esso (99%) si trova proprio nelle ossa. Se l'as­sunzione di calcio è insuffi­ciente si ha una mine­ralizzazione ossea ina­deguata nei giovani e una perdita di densità e massa ossea negli adulti e negli anziani.

La vita sedentaria
La rigenerazione delle ossa può avvenire in modo opportuno solo se la massa scheletrica può svol­gere il suo compito fondamentale: so­stenere il corpo durante i movimenti; pertanto una moderata attività fisica permette un’adeguato rinnovo ed il mantenimento dell’osso nel nostro organismo. L’osso di con­seguenza può conservare le sue sin­golari ca­ratteristiche, infatti unisce alla massima resi­stenza una massima economia di materiale e con un minimo peso. Si ricorda come la resi­stenza alla tensione dell’osso sia simile e si avvicini molto a quella della ghisa, mentre pesa meno di un terzo. La sedentarietà, in­vece, priva l'osso dello stimolo a rigenerarsi e lo rende fragile e de­bole.

La magrezza eccessiva
Chi è troppo magro ha più probabilità di an­dare incontro alla malattia, poiché la massa ossea (se­condo numerosi studi) cresce in pro­porzione al­l'aumento di peso. Le motiva­zioni non sono an­cora del tutto chiare; pare che il motivo sia dato dal fatto che i cuscinetti adi­posi permettono una maggiore e più rego­lare produzione di estrogeni. Il sovrappeso mode­rato (5% di peso in più rispetto al peso ideale), al contrario, pare che riesca a ri­durre il rischio di osteoporosi.

L'abuso di fumo, alcool e caffeina
Il fumo di sigaretta aumenta il rischio di con­trarre la malattia in quanto anticipa l'età della meno­pausa e, in genere, determina un calo di peso cor­poreo.

 

L'alcool, invece, ostacola l'assorbimento del cal­cio introdotto con l'alimentazione e, come già detto sopra, un deficit di questo minerale pre­di­spone all'osteoporosi. Infine, la caffeina au­menta le carenze di calcio poichè ne incre­menta l'elimi­nazione con l'urina e le feci. An­che in que­sto caso, però, i meccanismi non sono ancora del tutto noti.

L'uso protratto di cortisone
I farmaci contenenti cortisone, a lungo andare, possono determinare una diminuzione della massa ossea e quindi predisporre alla malat­tia. Questo perchè i cortisonici, nella loro azione antinfiam­matoria, inducono l'organi­smo ad eliminare ele­vate quantità di calcio.

L'uso di farmaci anticoagulanti
Sono assunti, in genere, dalle persone che sof­frono di cuore e di disturbi venosi, poichè impedi­scono al sangue di coagularsi. Questi farmaci, però, agiscono negativamente sul metabolismo os­seo e, di conseguenza, favori­scono la comparsa precoce dell'osteoporosi.

L'uso di antiacidi a base di alluminio
Largamente utilizzati dalle persone con pro­blemi gastrici (ulcere, gastriti,ecc...), questi farmaci fa­voriscono l'indebolimento delle ossa.

L'utilizzo di farmaci antiepilettici
Sono essenziali per chi soffre di epilessia; pos­sono, però, agire negativamente sul meta­bolismo delle ossa.

L'assunzione di alcuni diuretici
Anche questi farmaci, utili a chi ha problemi le­gati alla produzione ed espulsione delle urine, fa­voriscono l'indebolimento osseo.

Le cure con ormoni della tiroide
Questi farmaci sono indispensabili per la vita delle persone che soffrono di problemi alla ti­roide, ma agiscono negativamente sul meta­bolismo delle ossa.

A fianco dei fattori che inducono all'osteopo­rosi, esistono anche fattori che proteggono dal rischio di contrarre la malattia:

L'allattamento
Le donne che allattano in maniera naturale e per periodi prolungati presentano una massa ossea mi­gliore rispetto a chi non ha mai allat­tato. Proba­bilmente l'aumento della massa delle ossa è spie­gato dall'innalzamento dei li­velli di estrogeni.

L'attività fisica
Chi cammina almeno 45 minuti al giorno per tre volte a settimana. Ha una massa ossea superiore rispetto alle persone che non si muovono quasi mai. L'attività fisica, pertanto, viene considerata come un importante fattore di prevenzione.

 

INVECCHIAMENTO E PERDITA OSSEA

Il tessuto osseo, sia corticale che trabecolare, è per tutta la vita interessato da processi di rima­neggia­mento che ne consentono la crescita, l'a­degua­mento alle richieste meccaniche e la ripa­razione dei possibili danni derivanti dagli stress che è chiamato a sopportare.

 

Malgrado l'appa­rente staticità, il tessuto osseo è quindi sede di un'intensa e continua attività meta­bolica, svolta dagli osteoblasti, osteoclasti e osteo­citi. Attività che non solo è rivolta alle sopra ripor­tate esi­genze struttu­rali del­l'osso, ma che contri­buisce in modo determi­nante all'omeostasi degli ioni minerali dei liquidi biolo­gici, per intervento de­gli ormoni calciotropi, che, attraverso la loro azione sulle cellule ossee, possono prelevare o depositare minerali, in particolare calcio, in re­lazione alle esigenze metaboliche dei diversi momenti.

L'insieme delle attività cataboliche ed anaboli­che de­termina il bilancio scheletrico, che risulta positivo negli anni della crescita fino ai 25-30 anni, epoca in cui si raggiunge il cosiddetto picco di massa ossea.

Durante l'età adulta, ed in condizioni fisiologi­che, il bilancio scheletrico è sostanzialmente in equilibrio. Va però osservato che nella donna, durante la gravidanza e l'allattamento, esiste, fisiologica­mente, un maggiore fabbiso­gno di calcio. Questa aumentata ri­chiesta fisio­logica di calcio costituisce il cosiddetto stress calcico, che può indurre una negatività nel bi­lancio scheletrico.

Sulla base di numerosi studi appare ragionevole am­mettere che la perdita scheletrica sia carat­terizzata da uno squilibrio metabolico connesso all'invecchiamento, quale si può osservare nel sesso maschile. Nel sesso femminile, si ag­giunge un'ulteriore perdita ossea legata alla me­nopausa ed alle complesse alterazioni endo­crino-metaboli­che che ne conseguono. La donna presenta quindi un periodo che dura circa 10-15 anni, a partire dalla menopausa, du­rante il quale la riduzione del patri­monio sche­letrico è piuttosto rapida e partico­lar­mente pe­ricolosa tale da configurare una sin­drome osteoporotica.

 

QUADRO CLINICO

Il quadro clinico dell'osteoporosi involutiva, post-me­nopausale e senile, è caratterizzato da una prima fase silente, in cui le manifestazioni sono scarse. E' un periodo di latenza che pre­cede l'e­sordio dei sintomi e/o delle compli­ca­zioni. Spesso l'osteoporosi può de­correre del tutto asintomatica e manifestarsi solo con la comparsa di facili frat­ture.

L'osteoporosi, purtroppo, non determina nessun sin­tomo fino a che non si verifica la frattura delle ossa.

Per questo viene anche denominata "malattia silen­ziosa"; è comunque possibile indivi­duare alcuni se­gnali d'allarme rivelatori della patolo­gia:

Dolori muscolari
Si verificano a causa del collasso delle verte­bre.    I muscoli della schiena, dovendo soste­nere la metà superiore del corpo, si contrag­gono innatural­mente, provocando il dolore.

Dolore cronico alla colonna vertebrale
Può avere delle forme acute localizzate nella parte inferiore del torace e in quella alta lom­bare quando si svolgono sforzi eccessivi, mo­vimenti bruschi o se si subiscono dei piccoli traumi.

Dolore a girarsi nel letto
Le fitte, in questo caso, si attenuano solo quando si rimane immobili.

Diminuzione dell'altezza
Dovuta ad una incurvatura della schiena. Si veri­fica, di solito, una cifosi (curvatura nella parte su­periore della schiena); in alcuni casi si arriva per­sino ad osservare una deformazione e un abbassa­mento della cassa toracica.

Il dolore, pertanto, è un sintomo incostante e di inten­sità variabile da paziente a paziente. L'e­sor­dio è ca­ratte­rizzato da una sintomatologia do­lo­rosa, sorda e leg­gera, che spesso insorge dopo pro­tratta stazione eretta o seduta. Esso è, co­mun­que, il sintomo tipico dell'o­steoporosi e com­pare in fase avanzata, essendo secon­dario ri­spetto alle microfratture della spongiosa os­sea.

Nell'osteoporosi il dolore ha delle caratteristi­che pecu­liari che possono aiutare a differen­ziarlo dal dolore provocato da altre cause, in particolare da quello ar­trosico.  Origina da strutture ossee con alta percen­tuale di osso spugnoso e sottoposte a carico, come le verte­bre dorsali e lombari e le ossa tarsali. Il riposo a letto determina, a volte, una completa re­missione della sintomatologia do­lorosa; la re­missione è però temporanea: il do­lore ricom­pare quando si ritorna in stazione eretta o se­duta. Anche i piccoli movimenti nel letto, per cambiare la postura, sono responsa­bili di una riaccensione della sintomatologia dolorosa.

Il quadro clinico può esordire o può arricchirsi in se­guito alla comparsa delle fratture a livello dei corpi vertebrali toracici e lombari, delle coste, dell'epifisi prossimale dell'omero, del­l'epifisi di­stale del radio e di quella prossimale del femore.

Le fratture, che interessano il corpo verte­brale, sono responsabili della riduzione staturale che si osserva in questi pazienti. Quando vengono coin­volti i corpi delle verte­bre dorsali si accentua ca­ratteristica­mente la ci­fosi dorsale.

 

 

 

FRATTURE NELL'OSTEOPOROSI

La conseguenza più temuta dell'osteoporosi re­stano, però, le fratture. Infatti, quando le ossa della colonna vertebrale sono indebolite dall'oste­oporosi, basta un semplice movi­mento per ri­schiare di procurarsi una frattura.

Movimenti a rischio sono piegarsi in avanti per raccogliere qualcosa o per rifare il letto, op­pure fa­cili cadute in casa alzandosi da una sedia, inciam­pando in un gradino o scivolando nel bagno o nella doccia. In realtà basta sol­tanto un movi­mento brusco per determinare la lesione ossea ed un traumatismo, anche mi­nimo, può però determi­nare importanti fratture scomposte che necessitano di interventi chi­rurgici di stabilizzazione o di osteo­sintesi.

Circa il 7% delle donne della popolazione bianca di 60 anni subisce una frattura per questi futili motivi ma a 80 anni tale percen­tuale raggiunge il ragguardevole valore del 25% e non esiste più quella differenza fra sesso femminile e maschile che faceva più colpite le donne da questo evento.


Le ossa maggiormente soggette a rompersi sono le ossa del collo del femore, del collo dell’omero, quelle del polso e delle vertebre. Tuttavia, tutte le ossa dello scheletro possono fratturarsi a causa dell'osteoporosi. Le per­sone più esposte a questi pericoli sono le donne, che hanno il 27% di pro­babilità in più di fratturarsi rispetto agli uomini. Nelle donne, in­fatti, la massa ossea inizia a dimi­nuire a partire dai 35-40 anni a causa dell'invec­chia­mento fisico. Inoltre le donne sono dotate na­turalmente di una massa ossea minore ri­spetto a quella degli uomini: verso i 50 anni le donne pre­sentano il 15% circa di osso com­patto in meno ri­spetto agli uomini. Più passa il tempo e più queste differenze aumentano poi­chè con l'arrivo della menopausa cessa, nelle donne, la produzione di estrogeni. Anche gli uo­mini, però, corrono dei ri­schi: dopo i 60 anni il pericolo di andare incontro all'osteoporosi e alle fratture è identico in en­trambi i sessi.
La frattura che si presenta più frequentemente nelle persone affette da osteoporosi è sicura­mente quella del polso, perchè nel cadere si è portati ad attenuare la caduta appoggiando le mani. È utile pertanto suggerire al paziente a rischio una serie di consigli da seguire per mi­nimizzare il rischio di caduta:

Come evitare le cadute

·      Evitare sforzi, piegamenti e movimenti bru­schi, ma svolgere una moderata atti­vità fisica quotidiana;

·        Stare attenti ai pavimenti bagnati (usare tappeti di gomma vicino al la­vandino).

·        Un letto troppo alto può rappresentare un’ulteriore causa di cadute per af­fron­tarvi la salita o la discesa.

·        Usare scarpe comode con suole di gomma o antisdrucciolo e con tacchi non troppo alti.

·        Fissare i tappeti al pavimento.

·        Illuminare bene le scale e dotarle di un cor­rimano.

·        Sistemare delle maniglie in posti strate­gici (vicino alla doccia, alla va­sca, ai sa­nitari, ecc...).

·        Usare tappetini di gomma nella doccia e nella vasca da bagno.

·        Evitare i cavi elettrici che attraversano il pavimento con i quali si rischia di in­ciampare.

·        Controllare se i farmaci che si assu­mono causino vertigini.

·        Fare esercizi appositi per migliorare la motilità, l'agilità e l'equilibrio.

·        Evitare gli sforzi troppo bruschi.

·        Controllare spesso la vista (spesso si cade perchè non si vede bene) e, se necessario, indossare occhiali o lenti da vista.

Inoltre si sottolinea il concetto che è necessario se­guire sempre un'alimentazione equilibrata e va­riata, in grado di assicurare un corretto apporto di vitamine e minerali.

Bisogna dare rilievo al fatto che nelle fratture dei pa­zienti osteoporotici assume una notevole im­portanza il progressivo dete­riorarsi dei meccani­smi ri­flessi di difesa dalle cadute che compare negli anziani. Infatti, con il venir meno di questi ri­flessi, in caso di ca­dute l'impatto con il terreno non è più suffi­cientemente protetto e pertanto può provo­care più facilmente frat­ture. Infatti, al contra­rio di una persona giovane, una persona anziana osteoporotica, soprattutto se soggetta ad altre invalidità, può andare incontro ad insicu­rezza nel camminare o turbe dell’equilibrio date da conflitto “sensoriale” o da pos­sibili deficit neu­rologici. Si ma­nifesta inoltre la ca­ratteristica rigi­dità e limita­zione artrosica dovuta alla progres­siva degene­razione osteo-articolare. L’anziano tende, per­tanto, a cadere più facilmente e non può più con­tra­stare, come si verifica nel giovane, la vio­lenza di una caduta con l’elasticità.

Le non meno rilevanti turbe della deambulazione ca­ratterizzano spesso nell'anziano una partico­lare anda­tura precauzionale con necessità di ap­poggi o un'an­datura per così dire disturbata ca­ratteriz­zata da un passo corto, con base allar­gata, i mo­vimenti degli arti si fanno lenti ed esi­tanti e da un già ricordato equili­brio precario. Con l'avanzare dell'età non bisogna dimenticare che vi è la ten­denza a diminuire la validità dei riflessi posturali che regolano il mantenimento della sta­zione eretta, l'equilibrio e la deambulazione. La velocità di risposta ai segnali diminuisce progres­siva­mente con l’invecchiamento (combinazione della velocità di reazione e del tempo di movi­mento). Il rallentamento alla risposta è partico­larmente marcato se il soggetto deve eseguire un compito complesso o operare una distinzione fra diversi segnali contra­stanti. Ricordiamo come i compiti, che richiedono una elaborazione faticosa per compiti complessi, siano cor­relati all’efficienza fisica spesso deficitaria in que­sti soggetti.

Si arriva così ad una caduta non protetta, con un effetto più violento su un sistema schele­trico depau­perato, già di massa ridotta a causa dell’osteoporosi.

 

Nella patologia osteoporotica pertanto, a causa della maggiore fragilità ossea, è più facile che si ma­ni­fe­stino delle fratture in corso di trauma­tismi che nor­malmente non determinano le­sioni ossee. Quando la massa ossea ha rag­giunto la soglia di frattura perciò, anche un trauma minimo, che ge­neralmente non deter­mina alcun danno, potrà provocare una o più fratture. Ne conse­gue che i soggetti affetti da osteoporosi si frat­turano con maggiore facilità rispetto ai sog­getti non osteopo­rotici di pari età.

 

Le fratture osteoporo­tiche

più caratteri­stiche

 

sono, come è già stato ricordato, quelle del polso (frat­tura di Col­les), quelle della testa e del collo dell’omero, della colonna vertebrale dorsale e lombare e mediali e laterali del collo del femore.

 

La frattura del polso è la meno grave, ma nelle persone an­ziane provoca con­seguenze che spesso ven­gono sottovalutate.

Con la sua tipica deformità a dorso di forchetta (frattura di Colles) è la frattura più comunemente osservata nelle persone anziane affette da oste­oporosi, perchè nel cadere si è portati ad atte­nuare la caduta appog­giando le mani.

 

 

 

La tipica deformità a dorso di forchetta risulta dalla combinazione di tre componenti:

1.      accorciamento del radio;

2.      angolazione dorsale;

3.      deviazione radiale (radializzazione) del fram­mento distale.

Spesso questa frattura ne­cessita di una o più ridu­zioni, se­guite da 4-6 settimane di immobilizza­zione in gesso, per ottenere una ripara­zione sod­disfa­cente. In una piccola percentuale di casi, in cui la frattura scompo­sta sia instabile e la ridu­zione in­cruenta insoddisfa­cente, il trattamento chirurgico sarà inevitabile e mi­rato alla stabilizza­zione della frattura stessa mediante l’osteosintesi con l’apposizione di fili di Kirschner, utilizzati allo scopo di mantenere l’allineamento.

 



 

 

Comunque, nella maggior parte dei pazienti in età avan­zata, dovrà essere evitato il trattamento chi­rurgico spe­cie a cielo aperto. Una tumefazione ed un malalli­nea­mento di qualche entità sono tolle­rabili anche se  si avrà una modesta limitazione funzionale permanente.

Nel 5-10% dei casi questo tipo di frattura si associa a lesioni del nervo me­diano che saranno eviden­ziate all’EMG. In questi casi i disturbi legati ad una sinto­matologia dolorosa ed alla  presenza di disestesie nel territorio autonomo del me­diano alla mano, saranno persistenti e di lunga durata.

 E’ sicuramente la meno preoccupante, in quanto non necessita di ospedalizzazione poiché, il pa­ziente, co­munemente, non viene operato, ma trattato ambulato­riamente con apparecchio ges­sato, dopo la riduzione in narcosi o anestesia lo­cale se necessario; comunque, nonostante sia la più banale delle fratture nell’osteoporosi, è fre­quente che il suo esito sia una de­formazione perma­nente del polso con una discreta rigidità e limitazione in flesso-estensione. E’ stato accer­tato che esiste un’ampia percentuale (20-30%) di tale deformità recidiva, nonostante ne sia stata ese­guita una adeguata riduzione. La limitazione fun­zio­nale residua di modesta entità è regola in que­sti casi.

 

Le fratture vertebrali provocano di solito do­lore acuto nella sede di frattura. Il picco di frequenza delle frat­ture vertebrali si osserva nell’ambito dei segmenti che sono esposti a particolare carico. Nella mag­gior parte dei casi si verificano al ver­tice della cifosi dorsale, al tratto dorso-lombare e alla colonna lombare ed hanno la durata di circa 2-3 setti­mane. Successiva­mente la sintomato­logia do­lorosa può risolversi completamente op­pure può per­sistere un dolore cronico in sede dorso-lom­bare con  limitazione della motilità. A livello dor­sale il dolore è soli­tamente ben localiz­zato, irradiato bila­teral­mente a fascia e può es­sere riacutizzato da colpi di tosse op­pure dalla di­gi­topressione sulle apo­fisi spi­nose delle ver­te­bre fratturate. Le frat­ture verte­brali "a cu­neo" o “da schiacciamento” possono verifi­carsi spon­tanea­mente o, come as­seri­vamo, a se­guito di eventi traumatici anche mi­nimi.

 

 

 

Sono re­spon­sabili dell'in­cremento della cifosi dor­sale e di una conse­guente riduzione staturale. Qua­lora siano inte­ressate più verte­bre dorsali è possibile una compro­missione della dinamica respiratoria.

Il dolore e la compromissione della dinamica respi­rato­ria sono tipici  anche delle fratture co­stali che con una certa frequenza com­paiono in questi pa­zienti.

A livello lombare le fratture sono più frequen­te­mente da "schiacciamento" e sono responsa­bili, oltre che di una riduzione della statura, di una spiccata sintomatologia dolorosa con rigi­dità arti­colare e limitazione funzio­nale.

 

 

 

Fre­quentemente è presente una spiccata limita­zione antalgica dei movimenti del rachide e una pro­trusione dell'addome in seguito alla ri­du­zione dell'al­tezza della cavità addominale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le fratture della testa e del collo dell’omero, come nel caso delle fratture di Colles, si verifi­cano nei soggetti sofferenti di osteoporosi e si possono considerare al­tresì come fratture che si verificano in un “osso fra­gile”. Nella maggior parte dei casi la causa è rappre­sentata da mec­canismi indiretti, essenzialmente la ca­duta in­ciampando con mano iperestesa e gomito esteso. La risultante forza assiale e torsionale viene tra­smessa alla spalla attraverso l’omero causando le caratteristiche fratture. L’osso osteoporotico è mag­giormente vulnerabile specie alle forze di torsione ed è più facilmente soggetto a cedere per traumi indiretti in torsione.

 

 

 

Il meccanismo causale della frattura è in grado di  determinare spesso la scomposizione dei fram­menti.

Le fratture sub-capitate dell’omero vengono trattate solo in modo funzionale-conserva­tivo, quando la diafisi è stabilmente inserita nella testa dell’omero. L’immobilizzazione del braccio in fa­sciatura secondo Desault è opportuna solo per un breve periodo di tempo, data la sintomatologia dolo­rosa. Per fratture più importanti sarà neces­sario un trattamento sempre  conservativo, però con gesso in abdu­zione toracica che richiede l’immobilizzazione anche per lunghi pe­riodi di tempo e pone, naturalmente, una quantità di pro­blemi. Per­ciò bisogna valutare attenta­mente l’utilità ed il periodo di tempo della cura con gesso visto che i pazienti da trattare sono an­ziani.

 

 

 

Le fratture dislocate, invece, mostrano un’instabilità di alto grado e un trattamento conservativo dà risultati insoddisfacenti. E’ richiesta pertanto una stabilità che solo un’osteosintesi può dare. In questi casi vengono fatti passare percutanea­mente, attraverso la corticale diafisaria dell’omero, più fili di Kirschner che, pas­sando trasversalmente sopra la frattura, vengono an­corati alla testa dell’omero.

 

 

 

 Anche la lussazione della testa omerale, associata alla frattura dell’estremo pros­simale dell’omero e/o alla rottura della cuffia dei ro­tatori, impone una immediata riduzione cruenta e una ripara­zione chirurgica, che esigeranno, successi­va­mente, un più impegnativo trattamento riabilita­tivo. Ciò porterà difficilmente, specie in questi soggetti anziani, ad un completo ripri­stino della motilità arti­colare della spalla.

 

La frattura del collo del femore è sicuramente  la più grave tra le frat­ture che si verificano nell'oste­oporosi e pre­senta una ele­vata incidenza di mor­talità e mor­bilità. Il tipo di frattura che si ma­nife­sta con maggior fre­quenza è quella pertro­cante­rica del collo fe­morale.

 

 

 

Si tratta di una frattura che richiede sempre l'o­spedaliz­zazione e che necessariamente,

 

 

 

per es­sere ridotta e sintetizzata, deve essere trat­tata chirurgicamente con notevole disagio per il paziente.

 

 

 

Le fratture del collo femorale possono essere di­stinte in mediali e laterali, essendo le prime intra­capsulari e le seconde extracapsulari. Per quelle mediali si preferi­sce sostituire solo l’intera testa del femore con una endoprotesi d’anca, o sosti­tuire sia testa del fe­more che cavità acetabolare, con una artroprotesi d’anca. Per quelle laterali si preferiscono mezzi di osteosintesi come i chiodi di Ender

 

 

 

o chiodi gamma o supernail.

 

 

 

Per meglio comprendere i motivi di scelta di questi mezzi di sintesi bisogna ricordare la vascolariz­zazione dell’estremità superiore del femore. Spesso nelle fratture mediali è compromessa la vascolarizzazione della testa e del collo femorale, in quanto viene ad essere interrotto l’apporto ematico, derivante dall’arteria circonflessa del femore, interessata dalla rima di frattura. In que­sto caso, intervenendo con mezzi di osteosintesi quali le viti cannulate o le plac­che angolate o i chiodi, sarà molto probabile una ne­crosi asettica della testa del femore.

 

 

 

 E’ perciò preferi­bile inter­venire con un’endo- o artro­protesi che an­nulla que­sto probabile rischio.

 

 

 

 

Inoltre usando le endoprotesi o le artroprotesi ce­men­tate, indicate in pazienti anziani sopra i 65 aa. di età, con osso poco consistente a causa dell’osteoporosi si avrà il notevole vantaggio di un recupero articolare in tempi brevi…

 

 

 

 …e la non trascurabile possibilità di far de­ambu­lare il paziente con ausilio di parallele o due ap­poggi anti­brachiali potendo concedere un carico progressivo già dopo qualche giorno dall’intervento.

Sarà possibile in tal modo scongiurare tutte le compli­canze dovute ad un’immobilizzazione pro­lungata, al­tamente dannosa per un soggetto in età avanzata.

 

DIAGNOSI

La diagnosi dell'osteoporosi si avvale di svariate meto­diche laboratoristiche e strumentali. In­nanzi tutto sono molto importanti gli esami la­boratori­stici che mirano a valutare even­tuali variazioni della calcemia, della fosfore­mia, della idrossipro­linemia e delle loro con­centra­zioni urinarie. Negli esami laboratori­stici bi­sognerà valutare eventuali variazioni del pa­ra­tormone e della calcitonina.

Nelle metodiche di diagnostica strumentale an­nove­riamo la radiologia tradizionale, che as­sume notevole importanza per il fatto che ci permette di evidenziare la diffusa deminera­lizzazione ossea con prevalenza a livello ver­tebro-pelvico. Ci per­mette di evidenziare l'aumentata radiotrasparenza dovuta al mi­nore conte­nuto calcico dell'osso e la riduzione dello spessore corticale. Permette di eviden­ziare le fratture dei corpi vertebrali e la de­formazione degli stessi ad aspetto concavo o a lente biconvessa per minore resistenza. Un im­portante dato che può essere evidenziato è l'in­dice di Singh che valuta la struttura ossea a li­vello del collo femo­rale evidenziando la scom­parsa dei sistemi trabeco­lari compressivi, tensivi e del grande trocan­tere.

Effettuare una diagnosi precoce dell'osteoporosi è molto difficile perchè questa malattia compare in modo molto silenzioso. Spesso si scopre la sua esi­stenza tramite radiografie effettuate per tutt'al­tri mo­tivi. È necessario, quindi, sottoporsi a de­terminati esami, consigliati soprattutto alle donne e agli uomini particolarmente esposti al problema.
L'esame indispensabile per valutare lo stato di salute delle ossa prende il nome di
densitome­tria ossea e consente di stabilire il livello di den­sità ossea prima che si verifichi una frattura. Inol­tre permette di indi­viduare la quantità di perdita di tessuto osseo (monito­rando gli effetti dei tratta­menti che si stanno se­guendo) e di prevedere i fu­turi cambiamenti del tes­suto osseo (e quindi il ri­schio di fratture negli anni a seguire). Le ossa che più di frequente vengono sotto­poste a questo esame sono quelle maggiormente sog­gette alle fratture da osteoporosi: le ossa dell'avam­braccio (radio e ulna), il femore e le vertebre.
I risultati che si ottengono vanno confrontati con i valori standard (basati sul sesso, l'età e la strut­tura della persona) e con i valori di massima den­sità ossea stimati per un adulto sano dello stesso sesso.
Oltre alla densitometria ossea esistono altre 3 tec­niche di più recente introduzione. Questo tipo di indagini fa parte della Mineralometria Ossea Compute­rizzata (MOC). Tutte si basano sullo stesso principio: una sorgente radioattiva emette un fascio di fotoni (parti­celle luminose) che quando attraversa i tessuti perde energia.

La valutazione del turnover scheletrico può es­sere eseguita con l'impiego di sostanze radio­attive che, una volta introdotte nell'organi­smo, hanno la caratteristica di venire fissate e metabolizzate a livello osseo, for­nendo in tal modo indicazioni sul turnover osseo. E' la me­todica utilizzata nella scintigrafia ossea.

 

 

 

TRATTAMENTO

La prevenzione rappresenta l'approccio più ra­zionale e moderno al problema dell'osteopo­rosi e la diagnosi precoce ne costituisce uno dei fon­damenti indispensa­bili.

Le strategie d'intervento terapeutico devono af­frontare il problema su diversi fronti. Da un lato il trattamento si basa sull'intervento sullo stile di vita. Occorre la sensibilizzazione sul­l'importanza di un'alimen­tazione con un ade­guato apporto di calcio, di vitamina D e ricca in proteine, e di una co­stante attività fisica, so­prattutto nell'età adole­scenziale, -momento in cui si forma il ba­gaglio osseo dell'individuo-, ma anche nell'età post-me­nopausale e nella terza età. Bisogna evitare l'im­mobilizzazione e favorire, con movimenti attivi e passivi, il tro­fi­smo osseo. Oltre all'a­li­menta­zione povera di calcio, di vitamina D e alla vita se­denta­ria, dovranno essere evitati, quali fattori a ri­schio, una scarsa esposi­zione ai raggi solari, il fumo, l'abuso di alcool e caffè, lo stress.

 

Corsetti ortopedici

Qualora siano evidenziate radiologicamente le fratture vertebrali “a cuneo” o “da schiaccia­mento”, tipiche dell’osteoporosi, sarà necessario consigliare al più presto al paziente un corsetto ortopedico in stecche e stoffa, lombare o dorso-lombare con spal­lacci in di­pendenza della sede della frattura.

 



 

 

 Ciò al fine di scari­care parzialmente le vertebre dorso-lom­bari, andate incontro alle lesioni osteo­porotiche, pro­teggere la colonna vertebrale con­tenendo ulteriori cedimenti vertebrali e ridurre altresì la sin­tomatologia dolorosa.

In queste forme croniche dolorose del rachide, i corsetti ortopedici possono attuare efficacemente un valido supporto allo sforzo muscolare. E’ co­munque consi­gliabile insistere sull’effettuazione di esercizi di fles­sibilità e di rafforzamento della muscolatura che agi­sce sulla colonna in quanto, mettendola a riposo, si avrà come conseguenza un’ipotonotrofia muscolare non desiderata. Il so­stegno lombare, oltre all’utilità del trattamento in caso di cedimenti vertebrali, è un valido stru­mento nei casi in cui sia necessario aiutare a mantenere una postura obbligata come spesso si ve­rifica nel paziente spondiloartrosico e osteopo­rotico con rachialgia cronica.

Effettuano inoltre una valida azione di sostegno sulla musco­latura addominale ed un efficace ef­fetto di ri­chiamo alla postura corretta in pazienti che, di solito, sono at­teggiati in ipercifosi dorsale e col capo antepo­sto a causa del danno verte­brale che comporta la de­forma­zione da schiac­ciamento più  o  meno impor­tante a carico delle vertebre dorsali e anche lombari.

 

 

 

 

 

Prevenire si può
Uno stile di vita sano ed equilibrato, da iniziare in giovanissima età, aiuta, e molto, ad allontanare il ri­schio che insorga l'osteoporosi. Ecco alcune precau­zioni per ritardare il più possibile la com­parsa della malattia:

·         Una dieta adeguata
L'alimentazione, sia nell'adulto, sia nel bam­bino, è di fondamentale importanza per man­tenere sane le ossa dello scheletro. La prima regola da seguire è quella di introdurre una grande varietà di ali­menti contenenti calcio. Il minerale, infatti, è il maggior componente del tessuto osseo (99%) e svolge quindi un ruolo importante nella preven­zione dell'osteoporosi. Il fabbisogno di calcio giornaliero varia a se­conda dell'età. Una fase par­ticolarmente cri­tica è l’adolescenza: tra i 15 e i 20 anni, infatti, la crescita delle ossa si completa e si ha un primo consolidamento dello scheletro. Un altro periodo delicato è la gravidanza, poichè il na­scituro deve accumulare circa 30 grammi di cal­cio al giorno, soprattutto negli ultimi tre mesi di gestazione. Anche l'allattamento è una fase della vita in cui il fabbisogno di calcio aumenta; la donna che allatta, infatti, spende circa 160-300 mg di calcio materno al giorno per al produzione di latte. Infine è importante assumere elevate quantità del minerale anche quando si è in peri e post me­nopausa.

 

 

 

RUOLO DI CALCIO e FOSFORO

1)  CALCIO

Perchè il calcio possa essere reso disponibile, però, è necessario che sia assorbito attra­verso un meccanismo particolare. Questo si verifica preva­lentemente nel duodeno ed è di­retta­mente regolato dalla vitamina D. Il com­porta­mento del nostro or­ganismo nell’assorbire il calcio, però, non è line­are. Più precisamente il sistema di assorbimento pre­vede che tanto più calcio viene introdotto con la dieta, minore risulta l'assorbimento del mi­nerale da parte dell'intestino. Se la dieta, invece, è povera di calcio, l'intestino ne assorbe in quan­tità maggiori. Questo strano meccani­smo, inoltre, aumenta con il passare degli anni: i bambini, per esempio, assorbono fino al 75% del calcio inge­rito, mentre gli an­ziani ne riescono ad assorbire solo il 20-40%.
In quali alimenti, però, è possibile trovare il mine­rale? Una buona fonte di calcio sono il latte ed i suoi derivati. Le persone che ogni giorno consu­mano almeno 1/4 di litro di latte e almeno 1/2 etto di di formaggi introducono circa 90 mg di calcio. Anche alcune verdure a foglia contengono molto calcio: le più impor­tanti sono i broccoli e i cavoli. Vi sono, poi, al­cuni tipi di pesce che non vanno trascurati; tra questi ricordiamo le alici, il salmone e le sar­dine. Non bisogna dimenticarsi della frutta secca, dei cereali integrali, della soia e dei le­gumi. Una dieta ricca di questi alimenti do­vrebbe coprire il fabbisogno di calcio giorna­liero.

La tabella che segue riporta il contenuto in mg di calcio e fosforo per 100 gr di alimento per avere un’idea del loro contenuto per ciascuno degli ali­menti riportati come esempio:

ALIMENTO 100 gr.

CALCIO

FOSFORO

Grana

1310 mg

750 mg

Pecorino

1160 mg

675 mg

Emmenthal

1145 mg

700 mg

Fontina

870 mg

561 mg

Caciocavallo

869 mg

590 mg

Caciotta

750 mg

600 mg

Gorgonzola

612 mg

356 mg

Stracchino

565 mg

374 mg

Mozzarella

403 mg

239 mg

Ricotta

275 mg

270 mg

Ostriche

185 mg

270  mg

Tuorlo d’uovo

147 mg

586 mg

Polpo

144 mg

190 mg

Latte scremato

122 mg

97 mg

Yogurth

120 mg

90 mg

Latte intero

119 mg

93 mg

Carciofi

86 mg

67 mg

Spinaci

78 mg

62 mg

Arance

49 mg

25 mg

Piselli

47 mg

100 mg

Lattuga

45 mg

30 mg

Carote

44 mg

37 mg

Tonno

38 mg

264 mg

Salame

35 mg

225 mg

Mandarini

33 mg

215 mg

Asparagi

25 mg

70 mg

Merluzzo

25 mg

194 mg

Tacchino

23 mg

1270 mg

Margarina

20 mg

16 mg

Prosciutto crudo

20 mg

177 mg

Marmellata

18 mg

7 mg

Pasta

17 mg

165 mg

Pompelmo

17 mg

16 mg

Albicocche

16 mg

16 mg

Burro

15 mg

16 mg

Pane

15 mg

73 mg

 

2)  FOSFORO

Un altro elemento importante per tenere il più possibile lontana la malattia è il fosforo. Questo minerale, infatti, favorisce il manteni­mento della massa ossea. I fosfati, di cui fa parte, rappresentano forse da soli, il più im­portante co­stituente minerale indispensabile per le attività cellulari e il tessuto osseo ne è un deposito che ne contiene un’enorme quantità.

Non bisogna, poi, dimenticare di bere molta ac­qua che forse non tutti sanno essere ricca di cal­cio. Naturalmente dipende dal tipo di acqua che si beve: quella oligominerale ha pochi mine­rali, mentre la minerale apporta elevate quantità di so­stanze benefiche tra le quali il calcio. Per sa­persi orientare basta cercare sull'etichetta il sim­bolo Ca++, che in­dica quanto calcio è presente nel­l'acqua.
Ultimo accorgimento, ma per questo non meno importante, è di non eccedere con il consumo di bevande alcoliche. L'alcool, infatti, agisce sul metabolismo dell'osso favo­rendo l'azione nega­tiva degli osteoclasti, a di­scapito di quella posi­tiva de­gli osteoblasti. In più impedisce l'assorbi­mento del calcio da parte dell'organismo.

  • Limitare, il consumo di alcool, caffè e siga­rette;

·        non temere il sole: l'esposizione ai raggi so­lari facilita, infatti, la sintesi della vita­mina D, la quale facilita l'utilizzazione del calcio; la luce solare, infatti, è in grado di stimolare l'organismo a produrre vitamina D. Questa svolge molte funzioni impor­tanti per la salute dell'osso. La principale riguarda: un mi­glior assorbimento del fo­sforo e del calcio, a li­vello intestinale, in­dispensabili alla salute delle ossa;

Praticare con regolarità un'attività fi­sica: camminare e fare mezz'ora di ginnastica al giorno contribuiscono a mantenere non solo la linea, ma an­che la massa ossea. Sollecitazioni causate dall'eserci­zio stimolano il metabolismo osseo e quindi favori­scono un maggior sviluppo della massa scheletrica.  Per tale motivo gli atleti presentano valori molto ele­vati di densitometria ossea e quindi, negli anni succes­sivi, potranno far fronte al fisiologico depauperamento osseo par­tendo da depositi piu' consistenti.

L'abitu­dine a muoversi è fondamentale per pre­venire malattie da depauperamento osseo. Le persone che vanno in palestra, infatti, incorrono in misura minore nell'osteoporosi. Pertanto, la persona sedentaria, po­tra' dotarsi di un consi­stente "magazzino" a cui attin­gere se pratichera' regolarmente una attivita' motoria, non necessa­riamente a livello agonistico ma più ra­gionevol­mente a livello amatoriale.  Gli sports mi­gliori da prati­care sono la ginnastica dolce, la bici­cletta e le passeggiate a passo sostenuto su terreni pia­neggianti. Va sottolineato, però, che anche l'e­sercizio fisico, se svolto male e in quantità ecces­siva, può es­sere dannoso. Per quanto riguarda invece l’opportunità di rivolgersi a palestre che esercitino ginnastica per anziani è necessario fare una racco­mandazione importante.  È con­ve­niente rivolgersi a personale altamente qualifi­cato che conosca a fondo il problema osteoporosi e che quindi non sottoponga l'organismo a solle­citazioni eccessive che potrebbero avere un ef­fetto controproducente. Prima di intra­prendere una qualsiasi attivià fisica, anche moderata come la ginnastica dolce per gli anziani, sarànecessa­rio rivolgersi al proprio medico curante, che potrà fare una valutazione adeguata sullo stato gene­rale di salute e soprattutto sulla situazione dell’apparato cardio-cir­colatorio che viene mag­giormente sollecitato da qual­sivoglia esercizio fisico. Una volta escluse eventuali problematiche di carattere organico che potrebbero controindi­care l’attività fisica, bisogna effettuare una mode­rata attività con esercizi atti a fornire al tessuto osseo una stimolazione moderata, in senso com­pres­sivo, intermittente, prolungata nel tempo. Come verrà spiegato con maggiore dettaglio in seguito, con i cor­retti movimenti eseguiti in pale­stra, si tratta di sfrut­tare l'effetto piezoelettrico dei cristalli di calcio che, sottoposti a tensione mec­canica alternata, generano variazioni delle cari­che elettriche all'interno del tes­suto osseo.
Si verifichera' quindi una stimolazione positiva del metabolismo cellulare ed in ultima analisi ritar­dare la perdita minerale ossea, condizione impro­rogabile con l'avanzare dell'eta'. La revi­sione della letteratura in­ternazionale sembra evi­den­ziare come miglior stimolo possibile, atto a scate­nare l’effetto piezoelettrico, la forza musco­lare trasmessa tramite i tendini al tessuto osseo du­rante la contrazione. Importante e' poi evitare sovraccarichi eccessivi che possano risultare dannosi per l'apparato osteo- articolare; bisogna invece fornire al tessuto osseo una stimolazione moderata, in senso compressivo, intermittente, prolungata nel tempo. Dal punto di vista posturale il nemico da combattere e' l'insorgenza di cifosi dorsale; ecco perché esercizi di riequilibrio e di educazione a mantenere posture cor­rette trove­ranno indicazione;

·      non dimagrire oltremisura né troppo rapida­mente.

Indicazioni terapeutiche:
Gli interventi terapeutici dell’osteoporosi sono essen­zialmente di due tipi: uno motorio e l’altro farmacolo­gico.

Una volta che l’osteoporosi si è sviluppata nel patrimonio osseo oltre a cambiare lo stile di vita e a prediligere cibi con adeguati contenuti di calcio si dovrà agire pro­grammando una appropriata attività fisica e sommini­strare al paziente un idoneo tratta­mento farmacologico che contrasti l’indebolimento delle ossa.

 

Tabella riassuntiva

 

RAGGIUNGERE UN BUON LIVELLO

 DI MASSA OSSEA

 

 

·        Regolare svolgimento di attività fisica

·        Apporto adeguato di calcio

              (1500 mg/die nell’adolescenza – 1000 mg/die nell’adulto)

·        Buona esposizione alla luce solare

·        Mantenimento di normale peso corporeo

·        Abolizione del fumo

·        Limitazione consumo di alcolici

 

 

Il piano di attività motorie dell'anziano prevede essenzialmente un programma di riedu­cazione motoria finalizzato al movimento; fargli vivere l'espe­rienza del movimento come un pia­cere; fargli cono­scere meglio il proprio corpo per una sua migliore utilizzazione; facilitargli la co­municazione interperso­nale e la socializzazione; migliorargli l'equilibrio metabolico, l'attività ludica ed eventualmente quella lavorativa. Gli esercizi, sempre di ginnastica dolce, possono essere attivi e passivi e l'allineamento postu­rale e la mobiliz­zazione passiva, mirano ad evitare posizioni vi­ziate, contratture, rigidità muscolari. Ser­vono an­che per fornire stimoli per la riscoperta del proprio corpo e della sua funzione. Il miglioramento del tono muscolare, e il  recupero del movimento, facilitano la circolazione del sangue, aumentano la frequenza cardiaca, la gittata sistolica, il flusso coro­narico ed, in misura minore, anche quello cerebrale. Viene inoltre aumentata la ventilazione polmonare; si rinforzano pertanto le ossa ridu­cendo i rischi dell'o­steoporosi e si migliorano tutte le condizioni generali.

I provvedimenti terapeutici mediante l’esercizio fisico da effettuare in idonee strutture riabilitative hanno la possibilità di affiancarsi all’azione dei farmaci, inte­grandone e spesso potenziandone gli effetti.

 

Il programma riabilitativo del paziente osteoporo­tico si prefigge due scopi:

1.      promuovere quell’idoneo esercizio fisico , utile per stimolare la deposizione ossea mediata da­gli osteoblasti, con ginnastica dolce tenendo conto della ridotta attitudine funzionale dell’anziano e della mo­derata resistenza allo sforzo legata all’età. Va at­tuata un’attività motoria che eviti di pro­durre affaticamento, ri­nunciando altresì allo spirito agonistico fre­quentemente tra­smesso dall’attività fi­sica. Oc­corre perdipiù abolire quei movi­menti o quelle metodiche che inducono do­lore o, spesso, mal sop­portate dal paziente per rigidità articolari, legate a fenomeni artrosici dell’età.

2.      recuperare funzionalità  avvalendosi di tutti i protocolli riabilitativi nelle complicanze della malattia, vale a dire le fratture ed i loro po­stumi.

 

L’intervento riabilitativo si prefigge di rendere va­lida e potenziare la muscolatura, specie quella depu­tata al sostegno; migliorare l’articolarità dei vari seg­menti ossei cercando di ripristinare, per quanto possi­bile, la mobilità articolare.  Prima di intraprendere un corretto trattamento motorio oc­correrà tenere presenti tutte le componenti del quadro sintomatologico:

 

·      l’insorgenza del dolore;

·      la progressiva deformità della colonna verte­brale;

·      la perdita del tono e del trofismo muscolare;

·      la diminuzione della motricità complessiva;

·      la comparsa di manifestazioni involutive a ca­rico di funzioni e organi viscerali.

 

In linea di massima, se non sussistono particolari pro­blemi, non si ritiene indispensabile il tratta­mento in­dividuale, ma un lavoro in gruppo. Sarà comunque opportuna la personalizzazione degli esercizi, indivi­duando per ciascuno le attività motorie più idonee, evitando così esercizi collet­tivi che superino le capa­cità motorie quindi limi­tando i carichi di lavoro e ri­ducendo le difficoltà esecutive di un esercizio, se ne­cessario; si po­tranno così sviluppare al massimo le potenzialità di ciascuno evitando le frustrazioni che derivano dall’impossibilità ad eseguire un esercizio.

Sarà opportuno insegnare quelle metodiche utili per il controllo del tronco e, in ultima analisi, di tutto il corpo nelle situazioni più differenti. Occor­rerà poten­ziare gli stimoli esterocettivi, svilup­pando la sensibi­lità della pianta del piede e fa­cendo eseguire spesso esercizi ad occhi chiusi. Questo al fine di prevenire le cadute determinate da uno scarso controllo del proprio corpo.

Dal punto di vista della postura bisogna contra­stare l’insorgenza della grave cifosi dorsale re­sponsabile di alterazioni di posizione di testa e collo responsabili di rachialgie. Ciò con esercizi di correzione dell’atteggiamento anomalo, con eser­cizi di potenzia­mento della muscolatura estenso­ria del tronco, e in­fine con esercizi respi­ratori che comportino la riedu­cazione dell’apparato respira­torio e della cassa tora­cica

Pertanto dovrà essere posta particolare cura all’esecuzione degli esercizi respiratori, in parte per finalità educative, in parte per localizzare me­glio gli esercizi su alcuni gruppi muscolari.

Saranno proposti altresì esercizi isometrici, isoto­nici a carico naturale o con piccoli pesi e a resi­stenza ela­stica progressiva.

E’ importante in assoluto evitare carichi eccessivi che possono risultare dannosi per l’apparato osteo-artico­lare, ma fornire una stimolazione mo­derata, in senso compressivo, intermittente e prolungata nel tempo.

Oltre al lavoro effettuato in una palestra riabilita­tiva sotto il controllo del fisioterapista, occorrerà inse­gnare, ai pazienti in trattamento, un lavoro da effet­tuare a casa in associazione  con gli esercizi codificati. Que­sto potrà essere anche ripetuto quando il tratta­mento istituzionale verrà termi­nato.

Più che la ripetizione degli esercizi eseguiti sotto il controllo del fisioterapista è un lavoro di tipo ergo­nomico e di economia articolare che si asso­cia al pre­cedente. Quale per esempio: fare le scale, stringere e roteare con le mani delle palline da tennis o di plasti­lina, controllare la postura cor­retta di fronte ad uno specchio e correggere gli atteggiamenti anomali, mantenere posizioni se­dute a terra davanti al televi­sore o leggendo etc.

 

MOTIVAZIONI DELL’UTILITA’

DELL’ESERCIZIO FISICO

NELLA CURA DELL’OSTEOPOROSI

 

Il concetto di base per un piano di lavoro corretto nella cura con esercizi fisici per questa malattia è di creare una stimolazione meccanica dinamica sull’osso per favorire quell’importante fenomeno fisiologico che è l’effetto piezoelettrico dei cristalli di calcio.

Tale fenomeno favorisce l’attività degli osteobla­sti, le cellule deputate alla neoapposizione ossea che contra­stano, per­ciò, l’osteoporosi.

Tale effetto piezoelettrico dei cri­stalli di calcio, sotto­posti a tensione meccanica alter­nata, deter­mina la ge­nerazione da parte di questi di varia­zioni delle cariche elettriche all’interno del tes­suto osseo. Si verifica, in conseguenza di ciò, una sti­molazione positiva del metabolismo cellulare, facilitando la deposizione os­sea e ritar­dando la perdita di minerale, presupposto della malattia osteoporotica che progredisce con l’avanzare de­gli anni. La deposizione di osso avviene nei punti nei quali il carico agisce e sembra dovuta ap­punto all’effetto piezoelettrico. Piccole quantità di corrente percorrono l’osso dove viene svolta l’attività compressiva; si provoca pertanto un’attività osteobla­stica +o- intensa in relazione alla stimolazione effet­tuata laddove si manifesta il flusso di corrente; le cellule osteoblastiche sono infatti sensibili a detta sti­molazione elettrica.

E’ noto altresì come lo stimolo più efficace alla genesi di tale effetto sia provocato dalla forza musco­lare tra­smessa tramite i tendini al tessuto osseo du­rante la contrazione.

In ultima analisi bisogna ricordare che la rieduca­zione motoria dovrà consistere nell’esecuzione di esercizi dolci in grado di indurre l’attività osteo­blastica evi­tando in assoluto gli esercizi pesanti o il sol­levamento di carichi eccessivi, inappropriati per un soggetto an­ziano. Questi esercizi potreb­bero risultare dannosi per l’apparato osteo-arti­colare, ottenendo pertanto un ef­fetto nocivo, non in linea con gli obiettivi prefissati e, in ultima ana­lisi, la ricerca del vantaggioso effetto piezoelet­trico, sarebbe vanificata dalle sequele contro­pro­ducenti dell’attività motoria.

 

D'altro canto l'intervento farmacologico per frenare la perdita di massa ossea e prevenire il più possibile l'in­cidenza delle fratture dovrà es­sere attuato in maniera razionale e dovrà essere intrapreso non appena gli esami diagno­stici ab­biano confermato que­sta patologia os­sea. La te­rapia farmacologica non si è dimostrata in grado di ripristinare in tempi sufficien­temente brevi la massa ossea normale, per cui una volta superata la soglia di frattura, un individuo ri­schia seria­mente di procurarsi una frattura, qualsiasi tratta­mento abbia intrapreso. Ciò deve essere spiegato attentamente al paziente; la presa di coscienza dell’entità del deficit e dell’impossibilità di ripristi­nare la massa ossea in tempi ragionevolmente brevi, permette di favorire il trattamento medico a lungo termine ma soprattutto consente di impe­dire al pa­ziente quelle azioni, anche di modesta entità, che po­trebbero provocargli una frattura.

I trattamenti farmacologici possono agire su tre diffe­renti momenti patogenetici dell'osteopo­rosi:

 

1.      riducendo il riassorbimento osseo me­diato da­gli osteoclasti;

2.      sti­molando la neofor­mazione ossea realiz­zata dagli oste­oblasti;

3.      stimolando l'assorbimento intestinale del cal­cio che sappiamo essere deficitario fi­siologi­camente nell’anziano.

 

La terapia perciò si basa fondamentalmente su questi punti:

 

-        terapia sostitutiva con estro­geni/progestinici

-        terapia calcica per via orale

-        terapia con vitamina D

-        terapia con anabolizzanti orali

-        terapia ormonale (calcitonina)

-        terapia con fluoruro di sodio

-        terapia con bifosfonati

 

La terapia sostitutiva con estrogeni rappre­senta una strategia terapeutica ampiamente codifi­cata per ral­lentare il turnover osseo postme­nopausale. Possiamo confermare con certezza l'efficacia de­gli estrogeni per impe­dire la perdita ossea po­stmenopausale e per ri­durre l'incidenza di fratture negli anni succes­sivi.

Perciò la terapia ormonale sostitutiva va consi­derata il trattamento di prima scelta nella pre­ven­zione dell'o­steoporosi negli anni imme­dia­tamente successivi alla menopausa, quando non vi siano evidenti controindi­cazioni. Co­munque deve es­sere evitato l'uso di soli estro­geni per il rischio di carcinoma dell'endome­trio. Rischio che diviene più basso se si associa un proge­stinico.

In conclusione la terapia con estrogeni appare tanto più efficace quanto più venga istituita in maniera mirata instaurandola precocemente e continuandola a lungo.

La somministrazione di sali di calcio nella pre­venzione e nella terapia dell'osteoporosi è giu­stificata dal ri­dotto apporto dietetico dell'indi­viduo anziano, cui si associa una relativa inef­ficacia dell'assorbimento inte­stinale.

Per questo motivo sono richieste dosi elevate se la terapia è basata solo sul calcio per via orale. 

La vitamina D viene utilizzata da molti anni nelle forme tradizionali della vitamina D2  e D3. Oggi si dispone anche di alcuni metaboliti attivi del cole­calciferolo verso cui è diretto l'interesse delle ri­cerche più re­centi.

La vitamina D aumenta l'assorbimento intesti­nale di calcio a cui si associa però il potenziale rischio di au­mento significativo della calce­mia.

Comunque, bisogna ricordare che, nessuno stu­dio ha dimostrato che la vitamina D, sommini­strata senza associazioni terapeutiche, pre­venga la perdita ossea nei primi anni di meno­pausa, men­tre alcuni risultati posi­tivi sono stati os­servati nella terapia con i meta­boliti at­tivi della vitamina D, in associazione ad altre tera­pie.

In uso da molti anni sono i farmaci anaboliz­zanti. Il prototipo di farmaco più usato è il nandrolone de­ca­noato. L'effetto osseo appare essere realiz­zato so­prattutto attraverso lo sti­molo dell'attività oste­obla­stica.

 Uno dei pochi farmaci di cui sia stata dimo­strata la capacità di stimolare l'attività osteo­blastica è il fluo­ruro di sodio. Il suo impiego nasce dall'os­servazione che nell'intossicazione da fluoro è presente una carat­teristica iper­densità schele­trica. E' stata però segna­lata una ritenzione di calcio e una complicanza mala­cica. La compli­canza malacica può essere de­bellata con l'asso­ciazione di sali di calcio e vi­tamina D.

Il farmaco la cui efficacia è stata documentata nella terapia di questa forma morbosa è la Calci­to­nina.

Agisce in virtù della sua capacità di ridurre il rias­sor­bimento osseo tramite il legame a re­cet­tori specifici sulla superficie degli osteo­cla­sti.

Sebbene l'azione ossea principale si traduca in una riduzione del riassorbimento osteocla­stico, alcuni dati suggeriscono la possibilità che esista un ef­fetto di sti­molazione della neo­formazione ossea.

 

Una recente forma terapeutica suggerisce l'uso deiBifo­sfonati .

I Bifosfonati sono stati sviluppati inizialmente come pirofosfati resistenti all'idrolisi enzima­tica al fine di inibire il riassorbimento osseo mediato da­gli osteocla­sti. Anche questi farmaci, da anni or­mai in commercio con buoni risultati, hanno di­mostrato una discreta validità terapeu­tica.

 

Come indicazione farmacologica alla terapia del dolore, an­dranno usati i classici analgesici sem­plici o si ot­terrà una buona risposta dalla sommi­nistra­zione di antiflogistici non steroidei (F.A.N.S.). Questi andranno somministrati per via generale comunemente me­diante la via orale o, nei casi più im­portanti, per via parenterale con le iniezioni in­tramuscolari o endovenose, se necessario. Tro­vano indicazione anche perché vanno a curare le flogosi ricorrenti tipiche dell’artrosi poliarticolare associata. Va fatto uso di  questi far­maci nella fase acuta e subacuta, in quanto la ma­lattia presenta caratte­ristiche fasi di acuzie, alter­nate a periodi di re­missione più o meno lunghi. Co­munque rimane fondamentale somministrarli soltanto per brevi periodi di tempo, in quanto provvisti di effetti col­laterali non trascurabili se si eccede sia con i tempi che con le dosi.

Di recente introduzione nel mercato sono dei farmaci antiflogistici dotati di maggiore tolleranza, la cui somministrazione potrebbe essere prolungata per qualche tempo.

Anche per questi farmaci, la cui risposta appare valida, occorre un più prolungato follow-up prima di confermare la loro validità terapeutica.

 

Le terapie fisiche troveranno indicazione sem­pre e soltanto nei periodi di acuzie della malattia, in quanto non posseggono un effetto preventivo, ma soltanto curativo. Molti di questi pazienti, po­liartrosici e oste­oporotici, sono indotti, erronea­mente, a desiderare la ripetizione indiscriminata della terapia con mezzi fisici; questo perché hanno la convinzione di star me­glio ripetendo esageratamente le cure fisiche pre­scritte. Inoltre si autoconvincono che eseguirle, anche in as­senza del dolore, indurrà una riduzione della sin­tomatologia dolorosa quando, inesorabilmente, si ripresenterà.

Grande confusione sembra regnare in quest'am­bito. Prescrizioni spesso non mirate, le aspetta­tive del paziente e la sua richiesta quasi routina­ria di "fare un po' di fisioterapia per i dolori", gene­rano un numero di prestazioni spropositato, ri­spetto alle reali necessità, con inutili costi sanitari e liste di attesa spesso chilometriche, senza, so­prattutto, che ci sia una reale motivazione.

Bisogna infine aver bene presente che l’uso pro­lungato di talune terapie fisiche induce tolleranza, vanificandone gli effetti e rendondo inutile la loro prescrizione.

 

Termoterapia endogena

 

Sono indicate terapie fisiche generanti termoterapia endogena, quali la radarterapia e la marconite­rapia.

Queste termoterapie sfruttano l'erogazione di mi­crooonde il cui effetto principale è la produzione endogena di calore.

Nel paziente poliartrosico e osteoporotico il calore che esse provocano infatti si traduce nell’induzione di molte azioni biologiche che si concretizzano nella :

·        attivazione del metabolismo: il metaboli­smo tissutale aumenta e si assi­ste a cambiamenti delle reazioni enzima­tiche;

·        sudorazione;

·        iperventilazione;

·        aumento attività cardiaca, con conse­guenti azioni antalgiche, sedative, de­contratturanti, vasomoto­rie, stimolanti il metabolismo dei tessuti;

·        riduzione della rigidità articolare:
Il calore è in grado di modificare le pro­prietà fisiche dei tessuti fibrosi sia delle strutture tendinee che capsulo-legamen­tose. Dopo riscaldamento questi tessuti cedono maggiormente allo stiramento, contrastando i processi di anchilosi e di retrazione fibrotica;

·       riduzione dello spasmo muscolare:
si ritiene che l'attività miorilassante si ve­rifichi attraverso due livelli di intervento: il primo sui fusi neuromuscolari, che il ca­lore rende meno sensibili allo stiramento; cui consegue il rilasciamento muscolare. Il secondo, per via riflessa, attraverso lo stimolo dei termorecettori cutanei, che implicherebbe l'intervento di un controllo centrale sullo stesso meccanismo;

·       aumento del flusso di sangue:
la dilatazione arteriolare e capillare causa una iperemia attiva, generata da mecca­nismi sia diretti che riflessi.

Elettroanalgesia

Altre terapie fisiche, indicate nel contenimento della sintomatologia dolorosa, sono quelle elet­troantalgiche, cioè basate sulla stimolazione elet­trica dei tessuti.L'effetto analgesico sarebbe do­vuto, almeno in parte, ad una soppressione del segnale doloroso, andando ad agire direttamente sulle fibre che portano quest'informazione al si­stema nervoso centrale (SNC) e sugli scambi di tipo ionico che avvengono nelle interfacce biolo­giche. Su queste basi è stata proposta, con suc­cesso, la stimolazione elettrica della cute, dei nervi periferici o dei cordoni dorsali, allo scopo di attivare le grosse fibre afferenti e vincere così il dolore d'origine periferica. Infine ricordiamo come l'elettroanalgesia nelle forme croniche non sosti­tuisca la terapia farmacologica, ma la integri effi­cacemente. L'elettroanalgesia può essere consi­derata una vera e propria terapia di fondo del dolore di questi anziani pazienti e non soltanto un rimedio sintomatico.
Per ottenere questo tipo di effetto si usano terapie fisiche quali le correnti diadinamiche, le correnti interferenziali e la T.E.N.S.

Le correnti diadinamiche sono un gruppo di correnti iterative di bassa frequenza che, oltre allo scopo antalgico per cui vengono usate in queste circostanze, possiedono tre effetti biologici:

1.      un effetto di stimolazione sulla sensibi­lità, sull'attività muscolare, sul trofismo;

2.      un effetto inibitorio sulla sensibilità e sulla contrazione muscolare, con di­minu­zione delle contratture;

3.      una reazione di assuefazione, che porta al­l'annullamento dell'azione biologica, che compare molto rapi­damente con cor­renti d'intensità e frequenza costanti.

La T.E.N.S. (Transcutaneus Elettrical Nerve Sti­mulation) è un' elettrostimolazione con impulsi analgesici a basso voltaggio. Agisce stimolando le fibre di maggior calibro, innescando il feno­meno del “cancello” ("gate control theory"). L'ef­fetto analgesico può essere infatti ricondotto:

  • Ad una inibizione degli stimoli nocicettivi a livello spinale ("gate control theory")

  • All'attivazione di sistemi inibitori discen­denti

  • Alla liberazione di sostanze oppioidi endo­gene

  • Ad un blocco degli impulsi nocicettivi

 

 

Le correnti interferenziali

Le correnti interferenziali vengono applicate me­diante una coppia di elettrodi posti ortogonal­mente tra di loro, in modo da fare incrociare, a livello della parte da trattare, le linee di forza dei due campi elettrici.

Hanno un forte effetto antalgico oltre alla possibi­lità di indurre un effetto eccitomotorio.
Si ottengono utilizzando due generatori di cor­rente alternata di media frequenza, collegate a due coppie di elettrodi disposte ortogonalmente. Tali correnti di media frequenza incontrano meno re­sistenza nell'attraversare i tessuti e possono pe­netrare più facilmente, senza cedere energia a livello cutaneo e senza creare sensazioni fasti­diose.
Si usano quattro elettrodi disposti in modo da in­cro­ciarsi e sovrapporsi nella regione da trattare.
Come è già stato accennato si può ottenere un effetto prevalentemente anal­gesico, o un effetto eccitomotorio.
Ma è proprio per l’importante effetto antalgico che vengono usate.

Magnetoterapia

La magnetoterapia viene da alcuni impiegata nelle patologie dolorose da artrosi e osteoporosi nell’anziano, in virtù dei po­stulati effetti antiede­migeni ed antinfiammatori. Promuove altresì un’accelerazione del metabolismo cellulare, con netta azione biorigene­rante, antinfiammatoria, atiedematosa e antalgica.

Si tratta di una particolare terapia fisica che utiliz­za ap­parecchiature generanti campi magnetici a bassa in­tensità.  Che i campi magnetici possano interagire con i sistemi biologici è ormai cosa certa. Tale terapia fi­sica ha lo scopo di ridurre gli stimoli dolo­rosi, indu­cendo una riduzione della contrattura muscolare.

 

Conclusioni

 

Non si può affermare che esista un'unica terapia standardizzabile dell'osteoporosi.

Molteplici sono gli aspetti di cui bisogna necessariamente tenere conto: situazioni endocrine, situazioni metaboliche ed ambientali, stile di vita, alimenta­zione, attività fisica.

Rimane sempre imprescindibile e di fondamentale impor­tanza il fattore preventivo; questo perché non esistono metodi sicuri ed efficaci che con­sentano allo scheletro di recuperare tes­suto os­seo in quantità ele­vata. Biso­gna, perciò, ri­cer­care ed eliminare tutti i fattori ag­gravanti che possano concorrere ad aumen­tare il ri­schio di perdita mi­nerale ossea.

Pertanto, la valutazione del paziente deve essere approfondita, anche sotto il profilo meta­bolico ed endo­crino, prima di in­traprendere la terapia.

Rimane assodato che il fattore preventivo trova nell’attività motoria, svolta in modo razionale, il ri­medio più efficace ed innocuo al fine di evitare quel depauperamento osseo che s’instaura fisiologicamente con l’invecchiamento.


 

 

 
 

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Integrazione pratica

Una buona base di integrazione (ad un favorevole rapporto costo beneficio) è costituita da: Blusterol-ASI  (1-2 cucchiaini/die) 

 Revital.5 (1 buste al giorno) ;

Artro-C 1/2  misurino/ die.

 ProBasica (integratore di  minerali basificanti) quanto basta a portare il Ph delle urine a 7 (misurabile con una cartina tornasole)